lunedì 28 gennaio 2013

Prima conclusione della psicoterapia

Dopo 9 anni e mezzo ininterrotti di psicoterapia (di cui gli ultimi anni di psicoanalisi), il mio psicoanalista ha proposto di terminare il nostro ciclo terapeutico.

Sulle prime, è stato uno shock. Ho avuto bisogno di tre mesi di tempo per abituarmi all'idea.

Un rapporto così lungo, un impegno settimanale costante. La certezza che lui ci fosse, sempre, tranne che ad agosto e nelle feste canoniche, che comunque diventavano una vacanza anche da me stessa. Soprattutto, un transfert "enormemente investito".

Insomma, ho dovuto rifletterci per bene. Ma le parole del mio psico ("è una strada necessaria per l'individuazione, che dopo un lavoro così lungo - e profondo, aggiungo io - lei stia senza vedere lo psicoanalista") hanno avuto il loro peso. L'obiettivo dell'individuazione, di diventare un individuo libero e SANO, credo che sia stato sempre la mia guida, la mia lanterna rossa. E le sfide mi piacciono enormemente, soprattutto quelle con me stessa.

Potevo rifiutare? Decisamente no.

Ora, tra scherzose minacce della mia psichiatra ("se si fa venire una crisi maniacale per il lutto della fine della terapia, io le SPARO!") e fiumi di lacrime (mie, ovviamente, credete mica che un lacaniano pianga?? ma andiamo!), abbiamo concluso questo lungo ciclo.

I primi giorni mi sentivo un po' spaesata, e soprattutto questa perdita mi sembrava davvero strana.
Era una vera e propria perdita, di una persona che è stata importantissima e fondamentale nella mia vita, che mi ha aiutato a capire come stare nel mondo, davvero nella realtà, quindi dolorosa.
Una perdita di una persona a cui voglio molto bene e che stimo immensamente (e dai col transfert! ;-) ).
Una perdita non determinata da morte, da litigi, da allontanamento per altre cause: lui è sempre lì, nella mia stessa città, vicino, eppure per diventare individuo è bene che non lo veda.

E' una vicenda davvero strana. Non mi manca la terapia perché, vivaIddio, dopo 9 anni e mezzo si impara a psicoanalizzarsi da soli. E si fa in continuazione.

Mi manca LUI. Il suo sorriso, il suo sguardo, la sua ironia, il suo prendermi in giro, il suo non farmene passare una...
Ma la mancanza si fa ogni giorno più lieve, più tollerabile.

Resta un'immensa, un'infinita gratitudine per esserci stato, per essere stato il Virgilio che mi ha accompagnato nel viaggio tra l'inferno e il purgatorio (per il Paradiso ci stiamo ancora attrezzando, ma è di questo mondo? bella domanda), per essere un terapeuta eccezionale....

Comunque, che dire? E' una strada che davvero consiglierei a tante persone, ma soprattutto a chi soffre di DB... perché se si soffre di DB si tende a essere bipolare anche nelle reazioni emotive, e quindi ci vuole un lungo lavoro di ricostruzione per non esserlo più.

Confermo, è una strada lunga, dolorosa, costosa. Batterei il tasto soprattutto sull'aggettivo DOLOROSO: guardarsi dentro, guardare le proprie ombre, è la cosa più coraggiosa e più difficile che esista. Ma se si vuole crescere e diventare individui, no way, bisogna passare di qui. Passaggio obbligato. Solo guardando, accettando ed integrando tutte le parti di sé riusciremo ad essere davvero UNO e a capire ed accettare gli altri, uscendo dal giudizio.